La Mia Vita e le sue Infinite Sottotrame… mentre Vivo momenti di Confusione tra Realtà & Cinema!

domenica 15 maggio 2011

IL SUO NOME è TOTSI



E' un film vincitore dell'Oscar al miglior film straniero 2005, diretto da Gavin Hood, ed ambientato a Soweto, vicino a Johannesburg in Sudafrica. Il film è basato sul romanzo di Athol Fugard, che porta lo stesso nome della pellicola. 


Trama: Orfano di madre, morta di HIV, e cresciuto con un padre violento che abusava di lui, David, più conosciuto come Tsotsi, è il diciannovenne e spietato capobanda di un gruppo di giovani criminali, che vivono in una baraccopoli di Johannesburg. In fuga da un passato doloroso, Tsotsi ha rimosso qualunque ricordo della sua infanzia, compreso il suo vero nome: infatti nel gergo del ghetto "Tsotsi" vuol semplicemente dire "gangster". Una notte, accade che Tsotsi spari ad una donna per rubarle l'auto, senza rendersi conto che sul sedile posteriore c'è un neonato addormentato, figlio della donna. Nonostante la sua corazza di rabbia, Tsotsi decide ugualmente di prendersi cura del piccolo. Ben presto il ragazzo si renderà conto che nelle sue condizioni sarà difficile anche soltanto nutrire il bambino. A modo suo Tsotsi incomincerà a prendersi cura di lui. 
Tsotsi" non è il solito film sui ghetti; non è neanche il solito film sulla vita ai margini e allo sbando dei neri africani, ma è una parabola sulle conseguenze della violenza, sul passato che ritorna inaspettato, sul riscatto esistenziale.
Gli attori parlano il linguaggio-slangs delle strade di Soweto; il mondo di Tsotsi è un mondo di contrasti: baracche/grattacieli, ricchezza/povertà, rabbia/dolore. I personaggi - o meglio, i ragazzi - hanno un'anima duplice: dietro alla corazza di rabbia e violenza si cela la loro umanità, il loro grido di aiuto (che spesso viene accolta con altra violenza!), di attenzione e di rispetto.



La storia, una redenzione improvvisa e imprevista, è un po' tirata per i capelli, ma regge grazie ad un'ottima secchezza narrativa e ad un impianto scenico di prim'ordine. C'è fatica nel passare dalla violenza al pentimento, tuttavia i continui richiami all'ingiustizia sociale puntellano bene il primo fenomeno, mentre cenni umanitari di fondo in qualunque individuo fanno ancor meglio nei confronti del secondo. Il pretesto, tutto sommato banale, a sostegno della redenzione non convince del tutto, anche se l'interprete vive la sorpresa con impegno non indifferente.  Qualche eccesso sentimentale non riesce a rovinare lo spettacolo.  





Consiglio vivamente SERAFINA! IL PROFUMO DELLA LIBERTA’ che tratta di un argomento differente, il film è incentrato sulla vicenda degli scontri di Soweto del 1976 in Sudafrica, durante l'Apartheid. Se i musical non sono il vostro forte, sarete un po’ restii a guardarlo, ma merita! 

mercoledì 11 maggio 2011

IL Tè NEL DESERTO




Africa 1947 - Le vicende di 3 viaggiatori (viaggiatori, non turisti) americani in Africa una coppia di artisti in crisi, Kit e Port  e l'amico George si recano nel Nord Africa. Partendo da Tangeri percorrono un lungo itinerario che li porta nei luoghi dove l'Africa è più ostile, danaroso ed invadente.  



Il loro matrimonio ha superato l'ora del tè da un pezzo e adesso, con questo itinerario tra le dune africane, tentano di rifarlo bollire riaccedendo la fiamma della passione. Così tra tempeste di sabbia, di mosche e un calore insopportabile Kit segue Port che sembra scappare da se stesso, toccando una città dietro l'altra. Lo scopo è anche quello di seminare George il terzo incomodo che cerca di insidiare sua moglie con la sua ardente ma vuota bellezza e il suo sorriso fasullo.

Kit crede di poter riaccendere il desiderio, resiste come un bastione alle avances ardite del più giovane che le regala momenti di spensieratezza ma poi ... quando finalmente rimane sola con il marito Port, scatta qualcosa che porta ad un ravvicinamento;
durante il viaggio i tre si dividono. Port si ammala di tifo e muore dopo lunga agonia. Rimasta sola, Kit si accoda ad una tribù di tuareg il cui giovane capo, Belgassim, la prende come sua concubina.




A Kit, ormai sola in un Paese sconosciuto e fatto di continui adattamenti, non rimane che integrarsi con la nuova sorte e con la gente del posto. Si fa prelevare dai tuareg a bordo di un cammello e finisce per diventare la concubina del loro capo che la fa sua. Ovviamente, pochi sanno che sotto i veli del vestito si cela una donna bianca. Egli infatti la tiene segregata sino alla liberazione per mano di una delle sue concubine, gelosa dell'occidentale. Prostrata e dopo varie peripezie si ritrova nell'ospedale di Tangeri dove viene rintracciata da un'esponente dell'ambasciata americana...Ma la sua esistenza è oramai spezzata dalle esperienze vissute.



Film forse eccessivamente lungo (2:46) )ma ben recitato da un’ottimo cast (Malkovic in primis) e con impagabili panoramiche nello stile di Bertolucci che ce le dona nelle carrellate a lungo campo sui fantastici volti della natura selvaggia e desertica. Mi ha fatto pensare a IO BALLO DA SOLA.

Bertolucci descrive il senso della vita quando questa non ha più necessità di esistere. Una metafora sul disfacimento della cultura occidentale retta su un drammatismo narrativo dove l'elemento prioritario è rappresentato dal deserto, simbolo della lontananza e di malinconica solitudine.

Cit: “A volte penso che questo sia il nostro vero errore: credere di avere tutto il tempo che vogliamo. Che il tempo in realtà non esista..” Kit

sabato 7 maggio 2011

THE BOX



Ero indecisa se scrivere una recensione o meno... ma, ecco la trama:


Arlington Steward è misteriosamente resuscitato in ospedale dopo essere stato colpito da un fulmine e, costruito un apparecchio dallo scopo ignoto, se n’è andato. Virginia, 1976. Prima dell’alba il campanello di casa Lewis suona svegliando i coniugi Norma e Arthur. Aperta la porta, Norma trova un pacchetto. Si sveglia anche il figlioletto Walter, incuriosito. Nel pacchetto c’è una strana scatola e un biglietto: il signor Steward chiamerà alle cinque del pomeriggio. Arthur lavora a un progetto della Nasa - il Viking è atterrato su Marte - ed è totalmente preso dal lavoro. Norma, insegnante, è alle prese con altri problemi ed è sola in casa quando arriva puntuale il signor Steward, con il volto in parte sfigurato dal suo incontro ravvicinato con il fulmine. Spiega a Norma che se preme il pulsante che sovrasta la scatola provocherà la morte di uno sconosciuto e guadagnerà un milione di dollari. Se invece rinuncerà a premerlo, riceverà cento dollari per il disturbo. Ventiquattro ore per decidere. Norma ha un problema a un piede causato da quello che oggi si definirebbe un caso di malasanità, mentre Arthur viene rifiutato come astronauta. Entrambi hanno quindi motivi per avercela con la sorte. Davanti a loro una decisione assurda che però prendono sempre più sul serio, tentati dal denaro e dalla voglia di scoprire la verità. Dopo tanto parlare, Norma preme il pulsante quasi d’impulso. Ma questo è solo l’inizio.
Inquietanti bizzarrie e suggestive stranezze sono disseminate per tutto il film a dare un tono singolare alla vicenda.
La paranoia tipicamente mathesoniana prende possesso del film, con i protagonisti circondati da allusioni, minacce, inquietudini che invadono improvvisamente il tranquillo contesto in cui sono abituati a vivere. Tutti sembrano nascondere qualcosa, la città sembra percorsa da una cospirazione globale. Fidati solo di te stesso, è la filosofia, ma a volte nemmeno quello è sufficiente. Il tutto immerso in un periodo storico preciso, che ci sembra lontano, con le sue speranze e le sue pulsioni verso lo spazio esterno. Questo è in fondo il difetto principale di un film che mette molta carne al fuoco e crea un clima di angoscioso mistero, ma poi non sa risolverlo se non nel modo più semplice.









Dal regista che aveva sfornato Donnie Darko, il suo ultimo "The Box" non sembra esserne minimamente all'altezza.
Una sorta di psico-thriller che dal fortunato film del regista americano cerca di trarre, senza alcun successo, le atmosfere cupe ed ansiogene e le situazioni in bilico tra realtà e prodotto della mente.
SI lascia guardare per la prima mezzora dove l'idea di premere un bottone, uccidere qualcuno e diventare milionari puo' far presagire un film interessante, idea che viene radicalmente accantonata nel proseguo del film con il susseguirsi di scene ambigue ed al limite del non-sense che avrebbero come obbiettivo quello di spaesare ed incuriosire lo spettatore ma che riescono soltanto ad annoiarlo mentre la pellicola prosegue il suo corso verso la fine.
Il finale, per'altro molto scontato, ricalca appieno la mediocrità dei minuti precedenti e la parola che piu' lo contraddistingue è inutilità.
DI fatto il film ha dalla sua solamente il soggetto, a tratti accattivante che, una volta esposto, lascia libertà al regista di prodigarsi in un esercizio di stile lontanamente paragonabile a quanto visto in Donnie Darko con il susseguirsi di scene che potrebbero essere il frutto di una mente sotto cure psichiatriche.  I temi sono trattati con una banalità difficilmente raggiungibile, tant'è che spesso essi emergono con difficoltà allo spettatore inizialmente colpito dalle scene iniziali, e l'aspetto morale della vicenda viene esposto con una tale superficialità che può benissimo definirsi trascurabile.
Sicuramente un film al di fuori dei canoni classici ma non per questo interessante e godibile
(cagata).






Il film era partito bene ma poi... si è perso in cose strane, assurde e slegate dalla realtà ma soprattutto dalla sceneggiatura, per questo mi sono limitata a scoppiazzare recensioni qua e là... visto che l'obbrobrio è stato unanime... :(
"I'm looking for the truth. The audience doesn't come to see you, they come to see themselves" - cit.